Avvenire. «Il nostro Avvento fra bombe, fame, gelo. Così si vuol far morire una nazione»
Eccellenza, come si vive un Avvento di guerra?
Le bombe continuano a cadere. La popolazione è consapevole che la Russia vuole metterci in ginocchio in questi mesi freddi. Sappiamo che è complicato riparare tutti i punti della rete elettrica continuamente attaccata. Ma il Natale ci ricorda che Dio è amore, che il Verbo si è fatto carne per riscattare l’umanità: ecco, nel mistero dell’incarnazione troviamo la speranza che ci deve sostenere nelle prove. E il Vangelo di Cristo ci guida nel cammino di conversione che, con la preghiera, chiediamo anche per i nostri aggressori.
La preghiera è un’arma?
Ritengo che la guerra sia anche un esame di coscienza sul nostro percorso di fede. E la preghiera è un punto di appoggio per tutti: compresi i nostri soldati al fronte che incontro spesso e che mi raccontano come affidino la loro vita al Signore. E noi, come comunità cristiana, facciamo altrettanto: ogni giorno mettiamo nelle mani del Risorto tutte le nostre sofferenze e tutte le nostre attese.
Il conflitto ha fatto crescere la povertà?
È evidente. Si perde il lavoro che è sempre più difficile da trovare. Si vede la propria casa distrutta. Si è costretti a fuggire con quel poco che rimane. Ed era inevitabile che anche l’economia subisse un freno. Il rischio è davvero di non avere più nulla. Per questo ci siamo mobilitati con un progetto realizzato grazie alla Caritas polacca che si chiama “Da famiglia a famiglia”: è una sorta di adozione a distanza di un nucleo familiare che non ha più il lavoro o l’abitazione. Abbiamo già soccorso 500 famiglie che ricevono un sussidio mensile e abbiamo distribuito oltre un milione e mezzo di euro.
C’è bisogno della solidarietà internazionale?
Gli aiuti umanitari stanno diminuendo, ma non i bisogni. Come Chiesa, abbiamo scelto di privilegiare iniziative di lungo respiro. Cito quella con i salesiani tramite il Vis dell’Italia: si tratta di un programma per realizzare cucine e mense popolari. A Zhytomyr la nostra “Cucina solidale” si è trasformata in un riferimento collettivo e un modello: serve pasti non solo per gli sfollati ma per chiunque sia in difficoltà. Abbiamo stretto anche un patto con le istituzioni civili che contribuiscono alle spese e ci inviano le persone in situazioni di disagio.
Nella sua diocesi ci sono Irpin e Bucha, le cittadine a trenta chilometri da Kiev divenute nel mondo il simbolo dell’orrore di questa guerra per le fosse comuni e la distruzione sistematica.
Vero. Ma anche i villaggi intorno hanno subìto la stessa sorte e in molti agglomerati manca ancora l’essenziale per vivere, a cominciare dal cibo. E poi c’è il quadro drammatico nell’Est del Paese, come a Kharkiv dove continuano a chiederci aiuti e beni di prima necessità.
È la guerra di Putin o della Russia?
Sappiamo che una parte del popolo russo è contraria all’invasione. Ma anche che la maggioranza sostiene le scelte del Cremlino. La massiccia campagna di disinformazione ha fatto sì che non si sappia più che cosa sia la verità e dove stia. Tuttavia la Russia ha scelto anche di non cercarla. Ricordo ancora mio padre che, durante il regime sovietico, accendeva la radio sulle stazioni clandestine dell’Occidente per avere un’altra voce, una voce che non fosse megafono della propaganda. Oggi il popolo russo dovrebbe fare la stessa cosa. Inoltre mi interrogo sulle atrocità commesse in Ucraina dai combattenti russi. Durante gli anni del bolscevismo indossavano il budënovka, l’”elmo di panno” con la stella rossa che indicava come non dovessero avere un pensiero proprio; adesso dovrebbero trovare il coraggio di ribellarsi a certi ordini spietati.
Si teme un attacco dalla Bielorussia che dista 150 chilometri da Kiev?
Non sono un esperto militare. Il Paese è nell’orbita russa, ma avverto una differenza fondamentale: se i suoi governanti sono schiacciati sulle posizioni di Putin, la popolazione bielorussa è contraria alla guerra. E posso affermare che in moltissime chiese si prega perché il Paese resti fuori dal conflitto.
C’è spazio per i negoziati?
Li ha sollecitati anche il Papa. Ma la prima condizione dovrebbe essere un “cessate il fuoco”: basta bombe sulle città e sugli snodi strategici. Gli attacchi senza sosta mostrano che la Russia non vuole il dialogo. Giustamente Giovanni Paolo II condannava un certo “pacifismo ingenuo”. Non è accettabile che una parte del territorio ucraino sia consegnato a Mosca. E il Cremlino ci minaccia con l’atomica anche attaccando la centrale nucleare di Zaporizhia che, quindi, rischia di trasformarsi in una bomba atomica.
Il Papa denuncia in continuazione la follia della guerra. E invita a spendersi per la pace.
Penso che Mosca non gradisca le parole forti del Papa contro questo conflitto. E i cristiani ucraini sentono il Pontefice al loro fianco. Tuttavia certa informazione ha cercato di mettere in evidenza solo alcune espressioni o gesti di Francesco che hanno creato sconcerto: dalla croce condivisa fra una donna ucraina e una russa durante la Via Crucis alle parole su Daria Dugina, la figlia dell’ideologo di Putin uccisa ad agosto e definita una “povera ragazza”. Chi ascolta ogni giorno il Papa sa da che parte sta e che cosa pensa. E conosce tutto il bene che compie per il popolo ucraino. Allontanarci dal Pontefice significa fare l’interesse del nemico.